Il monte Etra, anzi no i Prati di Cusano

Una ciaspolata da rompere le gambe all'ombra del Sirente


Da una programmazione sbagliata può nascere una giornata particolare che valeva la pena essere vissuta così come si è svolta. Era da parecchio tempo che mi stuzzicava l’idea di tornare nell’area ad Ovest del Sirente, tra il Sirente e le gole di Celano, quell’insieme di 1800 o giù di li che se li guardi dalla piana di Avezzano ti intrigano sempre da morire. In quell’area l’unica montagna che avevo salito era il monte Tino mi piace chiamare così la Serra di Celano, magnifica piccola montagna dal sapore quasi dolomitico se la si guarda dalla piana di Ovindoli e che precipita verticale per oltre 1000 mt sulla città che gli da il nome. Il monte Etra è la montagna che si erge oltre le gole, sul versante opposto rispetto alla Serra di Celano, col monte Savina che lo precede, formano una lunga interessante cresta che chiudono verso Est i pratoni che scendono dal Sirente, mentre verso Ovest contengono le gole di Celano nel loro versante destro; sono vette poco elevate, la prima 1818 mt mentre la seconda non raggiunge i 1800, se le si prendono dalla val d’Arano, a parte il lungo avvicinamento, non si superano i 600 mt di dislivello mentre se le si approcciano da Aielli o dalle gole di Celano stesse i metri da superare oltrepassano i mille e sempre con una pendenza non indifferente. Mi attirava l’anello che si può compiere dalla val d’Arano salendo in cresta fino al monte Etra e chiudendolo quattrocento metri più in basso costeggiando la dorsale a picco sulle gole di Celano, il tratto che chiude l’anello tornando verso la val d’Arano è anche un affascinante reperto storico di una antica via romana che metteva in collegamento Aielli col l’altopiano delle Rocche. E fin qui direi tutto fila, ma quando mi viene in mente di fare questo bel giro? Ora che l’inverno non è ancora terminato, ora che le montagne sono ancora imbiancate, naturalmente. Le quote basse m’hanno fatto pensare ad una spolverata di neve, le temperature alte degli ultimi giorni e le tante piogge mi avevano convinto che per prudenza avrei dovuto portare i ramponi nello zaino e che tutt’al più sarebbero servite le sole ciaspole. Non è andata esattamente così. Arriviamo ad Ovindoli ad un orario presso che da pensionati, intorno alle otto del mattino, la giornata mantiene le promesse e la temperatura non è eccessivamente bassa, prendiamo per la val d’Arano, per chi non ci fosse mai stato basta seguire i cartelli dal centro del paese e comunque seguendo i sensi obbligati delle strade, una volta che si esce dal paese se si proviene da Celano, basta continuare sulla destra costeggiando la piana. Seguiamo la strada e prima di arrivare al maneggio scorgiamo due sciatori che si stanno preparando e che avevano già parcheggiato, era una stranezza, non deponeva bene, eravamo ancora lontani dall’imbocco della valle da dove partono i sentieri per il Sirente. Superiamo il maneggio e poco dopo la stretta curva la strada inizia ad essere ingombra da neve. Due belle tracce facevano intuire che qualcuno era passato, ma non è riuscita a noi, un paio di cento metri dopo abbiamo cominciato a toccare col fondo dell’auto e non rimaneva che ingranare la retromarcia. E alla fine ci siamo ritrovati a parcheggiare accanto agli sciatori, lo avevo detto che non deponeva bene, accidenti. Le piane a destra e sinistra della strada erano tutto uno scorrere d’acqua, la neve si stava sciogliendo a chiazze, dove mancava scorreva l’acqua su un cuscino erboso, verso Sud Est si ergeva bello come una dolomia il Monte Tino. Verso Nord il Magnola, il Rotondo e il Cagno chiudevano il catino paludoso specchiando le cime sui rigagnoli. Prendiamo a camminare sull’asfalto e già questo non me lo sarei mai aspettato, ma erano i presupposti che mi preoccupavano e che non deponevano assolutamente bene e molto probabilmente facevano allontanare clamorosamente la meta ancora prima di iniziare ad approcciarla, così tanta neve a valle, e siamo intorno ai 1300 mt, cosa dovevamo aspettarci su in cima? Ormai eravamo in ballo e abbiamo ballato, comunque sarebbe andata sarebbe stata un giornata all’aria aperta, e di questi tempi solo questo ripaga già il viaggio. Prima di arrivare al ponticello che segna l’inizio della val d’Arano abbiamo camminato per un chilometro e mezzo circa sulla strada, sopra neve ghiacciata, dentro le tracce di ruote di chi era riuscito a passare e su tratti di vetrato di scolo, intorno i prati erano acquitrini e i fossi scorrevano veloci andando ad ingrossare il fiumiciattolo che scorreva a centro valle. Finalmente il ponticello, lo attraversiamo guadando continuamente pozze di acqua e prendiamo l’ampia carrareccia che inizia a salire leggermente quasi subito. Salendo ci stacchiamo dal fondo valle che intanto si va allargando, lo sguardo diventa ampio sulla piana ancora colma di neve, attraversata al centro da un fosso rettilineo dove vengono scaricate le acque che si vanno sciogliendo, arabeschi contorti formano dei labirinti affascinanti, in alcuni tratti la coltre nevosa sembra galleggiare su luccicanti stagni, ora piccoli rigagnoli ora larghi scorrono nelle direzioni dove la pendenza del terreno li porta, vanno a riempire i fossi laterali o gli ampi acquitrini che ogni tanto si aprono e che al contrario degli stagni sanno di vita, è un paesaggio insolito, sa di passaggio di consegne quando l’inverno genera vita; mi rendo conto che molte volte la meta è la natura stessa che ci troviamo ad attraversare e che a saperla guardare ti offre una miriade di spunti nuovi. Per circa un chilometro forse meno camminiamo su una sterrata ancora priva di neve immersa in una rada boscaglia, nei pressi di una sbarra la carrareccia si biforca ancora, a destra continua in piano noi prendiamo quella di sinistra, oltrepassiamo la sbarra, la strada inizia ad essere coperta di neve lasciando pochi passaggi asciutti; costantemente in leggera salita la carrareccia è rettilinea fin tanto che l’occhio può arrivare, oltre, dove l’occhio la perde, sull’orizzonte si alzano ma lontane, le nostre mete, il monte Savina, un ripido e scuro scoglio che si alza repentino sulla valle e più dietro la nostra meta, il monte Etra scintillante sotto un sole che ancora lo colpisce di traverso e che sembra carico, molto carico ahimè, di neve. La lunga rettilinea carrareccia sale diritta e costante, un po’ anche monotona, è immersa in una boscaglia leggera che impedisce orizzonti più ampi, tra i rami spogli si intravede sempre più massiccia la Serra Dei Curti che si alza ripida sulla parte opposta della valle. Una slavina, a vederne i resti del bosco divelto sembra dello scorso anno almeno, quindi non recente, ha tagliato la carrareccia e aperto un fronte libero da vegetazione di una cinquantina di metri che permette una bella visuale sulla profonda Gola di Celano ed ovviamente sulla Serra dei Curti che da qui appare ancora più che mai selvaggia e scoscesa. Dal ponticello all’imbocco della Val d’Arano sono circa quattro i chilometri di carrareccia che si allungano rettilinei e monotoni con pendenza costante; si interrompe sotto lo sperone del monte Savina dove curva repentinamente a sinistra e continua a salire. Gli ambienti si aprono repentinamente verso Nord, le rocce del monte della Revecena, che aggettano sul sentiero di salita appena percorso sotto le quali eravamo sfilati senza accorgercene, compaiono all’improvviso; pochi passi e superiamo il limite del bosco quel tanto che basta per far arrivare lo sguardo oltre la massiccia Serra dei Curti, fino alle montagne del Velino, Magnola e Rotondo. Finalmente inizia a farsi interessante l’escursione. La carrareccia continua per un mezzo chilometro verso Nord per traversare successivamente verso Sud-Est, preferiamo tagliare subito a destra ed inoltraci sul bianco pendio che raggiunge Bocchetta di Prati di Popolo, seguiamo una sinuosa traccia di un sciatore di sicuro del giorno prima almeno, il fondo è compatto ed avanzare con le ciaspole è un piacere. Il versante sale lento, è privo di alberi, qualche arbusto e qualche spoglia rosa qua e là, il resto è una placida, armoniosa e immacolata distesa nevosa. Oltre allo sciatore del giorno prima siamo i primi a metterci piede, è un paesaggio meraviglioso che da pace al cuore. La sella della Bocchetta di Prati di Popolo è poco più di cinquanta metri sopra, già si intuiscono le segnaletiche. Anche i panorami verso valle, verso il Magnola si aprono sempre di più, ora sono contenuti a Sud e a Nord dai roccioni dei monti Savina e Ravecena, il paesaggio si è fatto splendidamente montano. Raggiungiamo la Bocchetta dove si aprono altri orizzonti sulle pendici ondulate del Sirente, su una miriade di fossi, tonde cimette, prati di altura, tutti imbiancati di fresco; il senso che restituisce la fotografia che abbiamo davanti è quello della vastità, della luminosità, dello spazio senza limiti della voglia di far andare le gambe per il puro gusto di andare. La traccia per il monte Etra parte proprio dalla Bocchetta e si arrampica sulla destra sulla ripida dorsale del monte Savina, tra qualche roccetta e pochi minuti faggi, su un masso è molto evidente una bandierina bianco-rossa. Come ci alziamo di qualche metro sulla dorsale il fondo cambia, non è più compatto, sprofonda; avevamo tolto le ciaspole per l’eccessiva pendenza, Marina più leggera è qualche metro avanti ma fa fatica a salire, io per cercare di raggiungerla e magari battere una pista possibile mi ritrovo sprofondato fino all’inguine, ci riprovo e riprovo ancora ma finisco per dibattermi inutilmente senza avanzare di una metro. Impossibile continuare quando non riesci nemmeno a far uscire la gamba dalla neve; mi sposto di qualche metro ma il risultato non cambia, mi sa che avevamo fatto letteralmente i conti senza l’oste e sottovalutato questi 1800 all’ombra del Sirente. Cambiamo approccio, scendiamo di qualche metro e ci rimettiamo le ciaspole, prendiamo a traversare dentro il bosco, in un silenzio assoluto, col sole che filtra tra i rami e riconsegna prospettive da fiaba. Avanziamo lenti in una atmosfera placida, quasi irreale, scorgiamo dopo un po’ l’azzurro oltre la cresta, il bosco non è fitto ma non restituisce i dettagli precisi del pendio, ci facciamo tentare e proviamo a raggiungerla, magari dopo il primo salto roccioso nutriamo la speranza di trovare una cresta spolverata e quindi percorribile. Il pendio è ripido, un po’ si sprofonda anche con le ciaspole, un po’ i rami bassi ci ostacolano, saliamo lenti ed è quasi divertente anche se un po’ faticoso. Marina sale diretta, io taglio un po’ verso Sud, raggiungiamo la cresta quasi insieme, io sono un po’ più in alto, lei sbuca su un tratto un po’ troppo affacciato; sono sopra, godo di una vista sul suo tratto di cresta e posso rassicurarla che non si tratta di una cornice, che la coltre nevosa è bel appoggiata su un bel bastione roccioso che spunta dal versante opposto. Facendosi comunque sicura coi rami degli ultimi faggi traversa e mi raggiunge, l’affaccio è violento e piacevole, sulla Val d’Arano fin sui monti della Magnola, non posso che approfittarne per scattare qualche bella foto. Abbiamo superato il primo salto, ma la cresta continua a salire al limitare del bosco e non è affatto stata scoperta dal vento. Continuiamo inesorabilmente a sprofondare anche con le ciaspole, impensabile toglierle. Ci guardiamo un attimo e riflettiamo quello che basta, chi ce lo fa fare affrontare così tanta fatica e magari non riuscire nemmeno a raggiungere il monte Etra? E anche se riuscissimo nell’impresa che in quel momento stava prendendo i connotati di titanica, sarebbe stato impensabile e rischioso provare a scendere sul versante opposto per raggiungere il traverso della via romana, probabilmente, anzi quasi sicuramente anche invasa dai cumuli nevosi. Era ora di dire basta, la scorsa settimana ci siamo fermati cento metri sotto il Pozzoni, stavolta qualche chilometro prima della cima del monte Etra, sotto la vetta del monte Savina, evidentemente questo periodo deve andare così. Ovviamente scherzo, è solo frutto di una errata programmazione quella di oggi, di aver sottovalutato il Sirente e la sua capacità di catalizzare le precipitazioni nevose, e di una cattiva gestione dell’attrezzatura a seguito la settimana scorsa; fa niente, era ora di far volgere a nostro favore la giornata, gli ingredienti c’erano, un bel sole, un clima stupendo con assenza di vento, un paesaggio che ispirerebbe calma anche ad un orso polare, tanta neve, le ciaspole ai piedi ed un ambiente sublime. Scendiamo di traverso dentro il bosco per raggiungere i prati Cusano, è un momento divertente, ogni una per due richiamo di scivolare faccia avanti tanto si sprofonda, le ciaspole diventano ingombranti nei tratti di bosco più fitto, il bastoncino non regge e si infila fino all’impugnatura, c’è più di un metro di neve su questo versante, e dove cavolo volevamo andare? Raggiungiamo il limite del bosco e la piana dei prati, l’effetto sole ha metamorfizzato il manto nevoso, una pacchia ora avanzare con le ciaspole. Non c’era più nulla da conquistare e da salire, il tempo si dilata, anche gli spazi a dire il vero, siamo scivolati lentamente verso Sud, siamo quasi sotto la cresta di vetta dell’Etra che si comincia ad intravedere davanti a noi sulla destra, le mole del monte Coppone, avamposto della vetta del Sirente domina rotonda il pendio a Nord, degrada verso le Vallette della Terra va a formare una grande lunga valle che degrada direttamente dalle creste dalle parti del monte di Canale o San Nicola, impossibile distinguerli da quì, il versante che la contiene risale sul monte San Pietro, una cresta a bassa quota dal profilo interessante. Lo sguardo si perde nei vasti orizzonti, una montagna enorme, tanti piccoli tondi promontori e piccole valli fino alle creste lassù in cima, quelle che sprofondano un metro più in là e che conosciamo bene, quelle che sanno di Dolomiti, quelle che vedo se chiudo gli occhi e mi parlano di grande montagna. Un ambiente così vasto che ti riempie lo sguardo, ti sembra di vedere tutto, di essere padrone del territorio e invece non noti nulla tanto è vasto, quanto è bella la natura e la montagna in certi momenti e quanto ti fa sentire piccolo. Pensiamo per un attimo di raggiungere lo stazzo in fondo ai prati Cusano, poco prima di Vado Castello, ma siamo consapevoli che in quegli spazi enormi le misure si dilatano e perdono consistenza, girovaghiamo così senza senso a guastarci quel paradiso isolato dal mondo. Nel mezzo della piana ci appoggiamo si una roccia scoperta, sembra fatta apposta per accoglierci, ne approfittiamo per fare una sosta ed è in questo momento che ci accorgiamo della preziosità del momento. Il silenzio è assoluto, nemmeno un alito di vento a disturbarci, se tratteniamo il respiro il “rumore” è assordante, ci prendiamo i nostri 20 minuti di serenità, è così lontana la confusione di tutti i giorni, l’assoluta immobilità di questo momento contrasta fortemente con la frenesia cui siamo abituati. La vetta del monte Etra è poco più a Sud, là davanti, non la rimpiango, ci sarà tempo per lei, abbiamo avuto molto in cambio. Abbiamo passato da poco mezzo giorno, si è fatta l’ora del ritorno, siamo senza viveri “importanti” e tocca riguadagnare la valle. Fino alla Bocchetta è una leggera salita, leggera ma dura perché ci siamo rilassati e le gambe si sono indurite. Sulla sella riprende a soffiare un vento fresco, quello che ci vuole perché dentro quella enorme piana l’effetto lente si stava facendo sentire; tagliamo di nuovo il pendio senza seguire la strada ci ritroviamo sulla lunga fettuccia da percorrere fin quasi ad Ovindoli. Aumentiamo il passo ma non troviamo più il sentiero dell’andata già battuto, un gruppo senza ciaspole lo ha praticamente distrutto complicandoci non poco la vita. Ammetto che è stato davvero lungo e monotono scendere, sembrava non abbassarsi mai il sentiero. Con la temperatura elevata a valle era tutto uno scorrere d’acqua e acquitrini che si allargavano a vista d’occhio, il fiume al centro della valle è gonfio, anche i fossi a fianco della strada sono gonfi e scorrono veloci. Ultimo sguardo dall’imbocco della val d’Arano, l’orizzonte è chiuso dalla bella mole rocciosa del monte Savina, da qui possente e verticale e che sa di montagna importante. Che dire di questa giornata? La conquista di una nuova montagna si è tramutata in una colossale ciaspolata, gli ambienti in alto suggestivi e vastissimi hanno regalato momenti sublimi, avremo percorso circa tredici chilometri e le gambe alla fine sembravano doversi smontare da una passo all’altro. Nessun rimpianto, tanta serenità e tanto entusiasmo, peccato il solo avvicinamento, e il ritorno per la stessa via, un po’ lunghi e monotoni. L’Etra è lì, ci aspetta ancora e credo possa diventare una meta autunnale, occorre solo dimenticare il lungo avvicinamento dell’andata, ed in autunno il ritorno sarà davvero sull’antica via dei romani.